Recensione del libro “Dai tuoi occhi solamente” su Vivian Maier
Francesca Diotallevi, vincitrice del Premio Neri Pozza Giovani 2015, torna in libreria con un romanzo toccante, poetico, vibrante, che ha come protagonista una delle più grandi fotografe del Novecento, Vivian Maier (visita il suo sito ufficiale), il cui lavoro venne alla luce solo dopo la sua morte grazie a John Maloof, il ragazzo che nel 2007 comprò all’asta per soli 380 dollari una cassa contenente centinaia di negativi, portando così alla scoperta di un patrimonio fotografico dal valore inestimabile.
Dai tuoi occhi solamente, come dichiarato dall’autrice stessa, nasce dal desiderio di indagare le complessità della donna e dell’artista Vivian Maier, non di riportarne una fedele biografia. E la Diotallevi riesce perfettamente nell’intento, guidandoci in un viaggio emozionante alla scoperta di una donna complessa, tormentata, che vive ai margini delle vite altrui, osservandole attraverso l’obiettivo della sua Rolleiflex senza mai davvero farne parte, accontentandosi di emozioni di seconda mano, di sussulti, sorrisi, brividi, lacrime, che le appartengono solo per pochi istanti, quelli in cui li cattura nei suoi scatti.
“Era uno strano modo di vivere, il suo, lo riconosceva. Il vetro attraverso cui guardava il mondo la teneva al sicuro, le consentiva di appassionarsi agli altri, alle loro vite, senza obblighi di emulazione. Senza tentare il tutto per tutto per avere uno spicchio di felicità, come se essere felici fosse un dovere, un desiderio collettivo a cui aspirare. Oltre il finestrino sfilavano alberi e stralci di nuvole. Vivian scattò”.
La storia ha inizio nella New York degli anni ’50, quando Vivian inzia a lavorare come bambinaia presso una famiglia di Southampton: Clelia, una giovane madre insoddisfatta, suo marito Frank, uno scrittore che sta attraversando un momento di crisi creativa, e i loro figli Grace e Arthur, più un terzo in arrivo. Vivian appare fin da subito fredda e distaccata, efficiente nella gestione dei bambini ma senza consentire a nessuno di invadere i suoi spazi, di insinuarsi nella corazza che la vita le ha cucito addosso. Grazie all’alternanza di piani temporali che ci riportano alla sua infanzia, prende vita sotto i nostri occhi la personalità complessa di una donna che ha conosciuto il dolore e ha imparato a fare i conti con l’assenza dell’amore. Una donna che ha elevato una barriera tra sè e quel mondo che fin da bambina le ha mostrato il suo volto peggiore.
“Una vita spesa a creare distanze, per non essere toccata, per non essere ferita”.

“Dai tuoi occhi solamente”, Francesca Diotallevi – Foto © Alessandro Vinci
Perché se nessuno ti ha amato dal profondo in quell’età in cui tutto ciò che si desidera è sentirsi accolti ed apprezzati, è molto difficile imparare a credere in se stessi e nelle proprie capacità, è quasi impossibile decidere di offrire in pasto agli altri la parte più intima di sè, per Vivian rappresentata dai suoi scatti.
Vivian vive infatti la fotografia come arte nella sua forma più pura, come l’esigenza impellente e insopprimibile di esprimere se stessa, come unica cura al suo male di vivere, bisogno di scomporre il proprio dolore, di proiettarlo all’esterno.
“Io non so vivere. Non sono capace di esserci fino in fondo, di esserci per davvero. Nelle vite degli altri, nelle loro gioie, nei dolori. C’è in me qualcosa di difettoso, di…mostruoso. Un desiderio di rovina, di autodistruzione. C’è un dolore che preme per essere raccontato, sviscerato, scomposto. E’ questo che faccio. Racconto sempre la stessa sofferenza”.
Anche la tendenza a imprigionare il suo riflesso nelle superfici riflettenti appare, in un certo senso, un tragico tentativo di affermare la propria esistenza, di non smarrirsi completamente in una realtà che Vivian percepisce come ostile.
Grazie all’indagine intima che Francesca Diotallevi ci offre di questa artista, è possibile comprendere meglio come i suoi scatti – forti, comunicativi, pungenti – siano frutto di un processo interiore che la spingeva a nutrirsi della vita altrui, a colmare la propria solitudine attraverso istanti rubati.
Allo stesso tempo ci troviamo davanti una fotografa che possiede delle attitudini straordinarie, un talento innato e grande tecnica che la portano ad usare la sua Rolleiflex – una macchina fotografica dalla meccanica sofisticata e poco intuituva – con grande consapevolezza.
“Valutare l’esposizione della propria immagine riflessa, contestualizzata tra oggetti o soggetti reali non è facile, soprattutto lavorando a pellicola, dove a differenza del digitale la postproduzione è quasi inesistente e la si applica durante la fase di stampa. Questo, unito a una messa a fuoco estremamente precisa nella maggior parte delle fotografie di Vivian Maier, dimostra una notevolissima maestria tecnica, usata come mezzo per un fine, fotografico, ben preciso”.
Un romanzo vibrante, che regala al lettore la possibilità di conoscere una delle più grandi fotografe della nostra epoca nel suo lato più nascosto, più fragile, più umano. Nella sofferenza che spesso si intreccia indissolubilmente all’arte nella sua forma più luminosa. Un libro che ci dona una fotografia dove tutti i volti di Vivian convergono in un’unica immagine, in una storia intensa che è una storia di vuoti, di ombre, di genio, di violenza, di perdita, di ricerca, di fuga, di solitudine. E poi sì, c’è anche l’amore. Perché tutte le storie, in fondo, sono storie d’amore.
© Stefania Mangiardi – Tutti i diritti riservati
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